Wednesday, 4 July 2012

A Room of One’s Own: Nicola Gardini

I knew Gardini in Oxford, where he teaches Italian. He’s a poet, a writer, a scholar. These photos and text are from an article entitled ‘Nella stanza di Nicola Gardini’ by Sandra Bardotti. I take the liberty of reproducing them here because I’m such a sucker for writers’ rooms and the like. I like the desk, and the book trough on the desk. It’s a bit messy, but in a way that suggests it is in constant use.






Mi sembra di sentirla parlare, Amelia Lynd, qui nello studio milanese di Nicola, con il suo intercalare british impeccabile. Mi sembra di vederla muoversi eterea nella stanza, la Maestra, circondata da una luce innaturale. Si solleva con le ali fino all’ultimo piano della libreria, fino ai grandi volumi del dizionario enciclopedico Utet e del dizionario della lingua italiana Tommaseo-Bellini, per ricordarci che le parole – le idee – sono tutto. Democrazia… “Nessuno può capire fino in fondo il significato di quella parola se non ama la propria lingua. Dall’amore della lingua che parliamo e poi di quelle che apprendiamo nasce e cresce in noi il senso della democrazia… ‘Essere uno dei tanti’… Io non saprei definirla altrimenti… ‘Ed essere tanti in uno’… Questa è la democrazia. Capisci?” (Le parole perdute di Amelia Lynd, Feltrinelli 2012).
Nel salotto pieno di libri e carte di Amelia Lynd, il piccolo Luca impara a volare più in alto.
In questo bellissimo studio nel centro di Milano, hanno preso forma Le parole perdute di Amelia Lynd e altri libri di Nicola Gardini. I baroni, Per una biblioteca indispensabile, la traduzione (ancora inedita) dei versi di Catullo: molto lavoro è passato di qui e ha lasciato le sue tracce. E chissà quante altre impronte ha disseminato anche nello studio di Oxford, dove Nicola insegna letteratura italiana all’Università di Oxford – perché Nicola è uno di quei cervelli che con un dottorato in Letteratura Comparata a New York, al suo ritorno in Italia ha dovuto fare i conti con il baronato accademico e fuggire all’estero.
Libri ovunque: sulla scrivania, nella libreria, su un elegante tavolino, in una piccola libreria girevole di legno, in una libreria credenza con le ante in vetro, sul divano, per terra, sparsi sul tappeto. La grande e pregiata libreria di noce occupa tutta la parete fino al soffitto. Davanti ai libri sono poggiate alcune fotografie di famiglia. Mi mostra lo scatto di un giovane Nicola seduto su una panchina e sorride. “Questa è una delle prime foto che ho scattato al mio arrivo a New York nel Novanta. Come vedi avevo ancora i capelli e sullo sfondo si vedono le torri gemelle”. Ci sono piccoli dipinti di paesaggi e di uccellini variopinti, un guerriero dell’esercito di terracotta cinese, il busto di Omero, alcune cartoline che immortalano grandi statue classiche, l’immagine cara di Virgilio o lo sguardo penetrante di Vargas Llosa – “uno dei miei autori di riferimento, insieme a Canetti e aIsherwood”. Di Isherwood ci sono molte edizioni rare, che Nicola colleziona.
Dai tanti fogli sparsi per la stanza si intuisce l’abitudine a un attento lavoro svolto direttamente sulla carta. Seduti sul divano, insolitamente sgombro, mi mostra alcune stesure tormentate e mi parla del suo metodo di lavoro. “Scrivo al computer ma uso moltissimi fogli per gli appunti preliminari o per abbozzare strutture e sketch. Poi stampo e intervengo a mano sulla stampata, quindi riporto le correzioni a pc, e così via, fino a quando il testo non è a posto. Quando scrivo in prosa o traduco, questo è il metodo che seguo. Per la poesia, invece, sento l’esigenza della scrittura a mano”.
Quasi impossibile immaginare Nicola che si muove tra tante carte, libri e oggetti impilati sulla scrivania di legno scuro venato. “Questa bella scrivania l’ho comprata a una fiera. Nella casa dove abitavo in precedenza non la usavo molto. Avevo la fissa dei tre tavoli di pascoliana memoria, e questa l’avevo posizionata in camera da letto, dove era quasi inutilizzata. È diventata importante in questa casa, soprattutto da quando le ho cambiato posizione. Prima era rivolta verso il muro ma mi sono reso conto che avere uno spazio aperto davanti mentre scrivo mi aiuta molto a concentrarmi. Non a caso amo molto le hall dei grandi aeroporti, dove lo sguardo si perde in spazi immensi”. Tantissimi oggetti-amuleto si intravedono qua e là. Una scatolina sigillata ermeticamente al cui interno dovrebbero esserci tante bamboline in miniatura – “è con me dal 1991, doveva farmi guarire da un persistente mal di stomaco”. Una stella marina. Un timbro decorato a mano con il nome di Nicola in cinese. E poi ci sono molti sassi – “un sasso dipinto da un poeta greco; un sasso di Auschwitz, che avevo inserito in una mia installazione sul tema del dolore e della sofferenza; un grande sasso a forma di cuore che mi ha regalato mia madre”.
“Lavoro molto la mattina. È finita l’epoca in cui improvvisavo a qualsiasi ora. Adesso trovo l’ispirazione nella concentrazione. Non sono collegato a internet. Spesso mi piace leggere un’oretta prima di mettermi a scrivere. Mi capita di ascoltare musica classica mentre scrivo. In questo momento in particolare ascolto l’opera, argomento del mio prossimo romanzo”.
Nel mucchio troviamo anche degli eleganti quaderni di disegni, dove ci sono perlopiù schizzi dal vivo. Nicola dipinge – a periodi, non è un’attività costante – e alcuni intensi paesaggi naturali su tela adornano le pareti della stanza. “Qui tengo le cose più riuscite: due paesaggi americani, la mia Inghilterra”. In un angolo vicino alla finestra c’è un cavalletto – “apparteneva a Gianni Dova, mi è stato regalato da sua moglie nel 1996 corredato da pennelli e colori: così ho iniziato a dipingere a olio”. I tubetti dei colori sono abbandonati sulla tavolozza. Per terra alcuni cartoni della pizza che Nicola talvolta usa per dipingere.
C’è molto di Nicola in Amelia Lynd, nella passione per la lingua, nella fede onesta nella parola e nell’ideale. Traspare anche da questa stanza affollata di parole e ricordi, dove ogni cosa è riportata al suo significato.
“Che fede avevo nei significati, che accumulavo, proprio come te su cento quadernini! Tienli stretti tu, i tuoi quadernini! E quando, magari, ti verrà la tentazione di dubitare, tirali fuori, rileggili, non nasconderli come ho nascosto io il mio lavoro.
Goodbye, Amelia” (Le parole perdute di Amelia Lynd, Feltrinelli 2012)


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