Friday, 23 May 2008

Francesco Petrarca, Canzoniere Rerum vulgarium fragmenta, ed & comm. Rosanna Bettarini (Turin, 2005)

Rosanna Bettarini's marvellous commented edition of the Canzoniere has just become mine! Mwha mwha. I've wanted this for a good while but just bit the bullet last month. It is beautiful. I remember reading Boitani's review of it in Il Sole 24 Ore, back when it came out, and I decided to buy it because volumes in this series, the Nuova raccolta di classici italiani annotati go out of print rather quickly and then become impossible to find (a good example is Gorni's edition of the Vita nova, or De Robertis' edition of Cavalcanti's Rime). This commentary is extraordinarily rich, with an enormous bibliography. It also has a short introduction (Bettarini has published a monograph on Petrarch). She writes beautifully in this introduction about the study of Petrarch being a study of books, the books he wrote, collected, annotated:
Cosí la poco scrivibile storia di Petrarca è essenzialmente una storia di libri, strappati alla fuga temporis: quelli suoi, che crescono intrecciati e che vengono avanti l'uno dopo l'altro «in tam parva vite area» (Fam. XIX 16, 5), coltivati come giardini, ortulos e libellos del pari piantati con le sue mani (Fam. XI 12, 11), tutti, con avvolgente metafora, bisognosi dell'assiduità del buon coltivatore: «nec coluisse semel sufficit, sed semper insistere oportet qui singularem aliquem vel agri vel animi fructum cupit» (Fam. XIII 12, 7-8, del 1352); di quei libri che il peregrinus ubique porta sempre con sé, per terra, per mare e sul monte Ventoso, come le Confessioni di sant'Agostino, che sono la rivelazione (paolina) dell'acutezza degli occhi interiori, occhi del cuore o invisibiles oculi («Tunc vero montem satis vidisse contentus, in me ipsum interiores oculos reflexi», Fam. IV 1, 29, in particolare sintonia con le agostiniane Enarrationes in Psalmos, XLI 2) e dell'autoanalisi, sostenente i motivi del Secretum e ancor piú del Canzoniere, in quel misto di umbra montis e di umbra mortis che è la cifra della grande canzone di nostalgia Di pensier in pensier (CXXIX); di quei libri fisicamente non cercati in gioventú, le rime di Dante, la Commedia, come testimoniato in una famosa lettera al Boccaccio (Fam. XXI 15), sui quali grava un eccesso di memoria e un igienico distacco, comprovante che non c'è niente di piú filiale e amorevole che uccidere il padre; di quei libri perduti e riconquistati, decorati con ogni possibile segno di tenerezza, come il Virgilio Ambrosiano allestito dal padre ser Petracco, «michi subreptus» nel 1326 e «deinde restitutus» nel 1338 apud Avinionem (sottoscrizione autografa del foglio di guardia del codice Ambr. A 79 inf.), reso splendido e commovente da una miniatura di Simone Martini (su progetto iconofrafico dello stesso Petrarca) e dalla nota che registra la data di morte di molti amici, dell'unica amata (Avignone 6 aprile 1348), e poi, volando il tempo, del figlio Giovanni (1361); di quei vecchissimi volumi scovati nelle Biblioteche («inque bibliothecam ... velut in arcem fugio», Fam. XIX 16, 20), come le lettere di Cicerone ad Attico, a Bruto e al fratello Quinto (Capitolar di Verona, tarda primavera del 1345), che stanno a fondamento delle Familiares (appunto ciceronianamente Rerum familiarum libri), ma con l'impertinente novità di rivolgersi non a uno solo, come anche Seneca a Lucilio, ma a innumerevoli amici, moltiplicando se stesso nell'immagine di molti, selezionati «non sine suspirio» in quel rituale falò di carte che è descritto in testa alla raccolta: «omnis generis sparsa poemata seu familiares epystolas ... Vulcano corrigendas tradidi» (Fam. I 1, 9), sulla scorta di Ovidio che nei Tristia affida al fuoco la correzione del passato: «Multa quidem scripsi, sed, quae vitiosa putavi, | emendaturus ignibus ipse dedi» (IV X 61-62)' (Introduzione, pp. xii-xiii).


I was then reminded of A.C. de la Mare's remark about Petrarch's manuscripts: 'Over the years Petrarch must have acquired several hundred manuscripts and, to judge only from those so far identified, his collection must have been one of the largest and most important in private hands at any time before or since' (The Handwriting of Italian Humanists, Vol. 1, fasc. 1 [Oxford: Printed at the University Press for the Association Internationale de Bibliophilie, 1973], p. 5). There is something about this that makes the hair on the back of my neck stand on end.

I enjoyed too the nod to E.H. Wilkins, the amicus transatlanticus, and wondered about how condescending that tag is. I know that Bettarini is simply following how he was recorded in the Petrarch Society, I know that she is repeating it out of great and evident respect, and I know too that Wilkins considered it a great honour. And it was. But it is funny how the Italians are very territorial about their medieval literature, and more precisely about its criticism. I was trying to think whether you'd get an Irish scholar praising Richard Ellmann as an amicus transatlanticus for his Joyce criticism. I'm not at all sure you would.

Bettarini's commentary is magisterial and I am deeply glad every time I open its pages and get lost in it.

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